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PROGRAMMA CONDIVISO SUI DIRITTI DI MOVIMENTO 5 STELLE E PARTITO GAY LGBT+

1.1     Politiche di genere e diritti civili

 

Nel nostro Paese la diseguaglianza di genere è certamente la più ampia e trasversale, con ricadute negative che impattano pesantemente sulla crescita economica, sulla capacità produttiva e sullo sviluppo democratico e culturale dell’Italia. E’ un problema strutturale e come tale va affrontato.

Certamente è in materia di occupazione, crescita lavorativa e partecipazione ai processi decisionali nella società che tale divario si fa insostenibile, come hanno dimostrato i recenti dati del Rapporto ISTAT 2022. Per poter finalmente colmare tale divario e mettere in pratica i principi di uguaglianza e parità tra uomini e donne sancito dalla nostra Carta costituzionale occorre quindi ripensare le politiche adottate finora, evidentemente insufficienti e introdurre misure coraggiose, di rottura con il passato: misure atte a dare piena sostanza a tali principi. È necessario un profondo rafforzamento dei servizi di sostegno alla genitorialità, come gli asili nido, che devono essere capillarmente diffusi sul territorio nazionale e declinati anche nelle forme di nidi aziendali (da incentivare anche nel privato con misure ad hoc), e come le Tagesmutter, già sperimentate in diverse Regioni in maniera sporadica e disomogenea. Occorre invece istituzionalizzare e incentivare questa forma domestica di nido, che ha anche il pregio di creare nuove professionalità e posti di lavoro. Allo stesso modo va rafforzata la rete dei servizi territoriali alla famiglia quali i consultori, in modo che possano sostenere donne e ragazze verso una maternità consapevole e una pianificazione familiare adeguata. Accanto a queste misure di rafforzamento di servizi esistenti, occorre però intervenire, come si diceva all’inizio, anche con misure più coraggiose in grado di sgretolare una volta per tutte il paradigma che vuole ancora che il carico della cura dei figli sia tutto sulle spalle delle donne. La gravidanza non può più essere motivo di abbandono lavorativo o di penalizzazione delle donne nell’accesso al lavoro e nella crescita professionale.

Per questo motivo non è più rinviabile l’estensione del congedo paterno obbligatorio a una durata che sia pari a quello del congedo materno, fruibile entro i primi anni di vita del bambino o della bambina. Il congedo paterno non può essere una sorta di bonus vacanza di dieci giorni, come è oggi, ma deve diventare lo strumento attraverso cui entrambi i genitori sono attivamente coinvolti e responsabili della cura dei figli. Tale misura non ha ricadute positive solo per le donne, che si troverebbero così a condividere davvero cura e accudimento dei figli con il proprio partner, ma fornisce un nuovo paradigma familiare, in prosecuzione con la riforma del diritto di famiglia del 1975, ispirata all’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, stabilita dall’Art. 29 della Costituzione. Soprattutto, il congedo paterno di pari durata di quello materno è l’unica misura in grado di mettere davvero l’uomo e la donna sullo stesso piano per quanto riguarda l’accesso al lavoro e la costruzione di una carriera.

È quasi superfluo specificare che i congedi in pari misura devono essere applicati anche alle coppie formate da persone dello stesso sesso, in quanto i diritti e i doveri dei due genitori rispetto alla propria prole sono gli stessi.

Ancora, per favorire la piena partecipazione delle donne al mondo del lavoro, è necessario raggiungere la piena parità nelle retribuzioni e abbattere il lavoro part-time involontario, fenomeno che vede protagonisti soprattutto donne e giovani. Tale obiettivo si può raggiungere ad esempio attraverso l’imposizione di obblighi di trasparenza e la costruzione di indicatori che rendano possibile il monitoraggio del rispetto delle pari opportunità.

Nello stesso tempo, occorre sostenere l’imprenditorialità femminile, preferibilmente sotto forma di finanziamenti agevolati, e implementare e rafforzare il bilancio di genere e le statistiche di genere, come strumento di valutazione delle politiche pubbliche, anche ex ante, che analizzi l’impatto di genere di tutte le politiche, a partire da quelle sociali e del lavoro. È pertanto necessario costituire una commissione bicamerale apposita o un organismo in seno al Ministero delle Finanze in grado di sviluppare queste analisi e fornire indirizzi a governo e Parlamento.

L’indipendenza economica delle donne è di vitale importanza anche per il contrasto alla violenza di genere. Sappiamo infatti che uno dei motivi per cui una donna che subisce violenza ritarda il proprio distacco dal carnefice, è spesso la sua dipendenza economica dallo stesso. Da questo punto di vista, misure come il Reddito di Libertà sono state un passo importante, ma non sufficiente. È necessario inserire le donne vittime di violenza tra le categorie fragili che rientrano tra quelle previste dalla legge 68/1999. Un sussidio non è infatti sufficiente per il pieno raggiungimento dell’indipendenza economica e psicologica dal partner abusante, ma è necessario un (re)inserimento nel mondo del lavoro affinché la donna possa davvero affrancarsi e avviare il percorso di empowerment essenziale alla sua affermazione come individuo.

Sempre nell’ambito del contrasto alla violenza maschile contro le donne, riteniamo che lo Stato, sulla scorta di quanto prescrive la Convenzione di Istanbul, debba fare molto di più che proteggere le donne che hanno subito violenza e sanzionare i colpevoli: deve prevenire la violenza andando alla sua stessa radice. Accanto al potenziamento della rete dei centri anti-violenza e delle case rifugio, e alle misure volte a garantirne l’indipendenza economica, occorre procedere a una coraggiosa revisione delle politiche di affido (legge 54/2006) che, in presenza di violenza domestica, deve prevedere il tassativo rispetto dell’obbligo di allontanamento del coniuge violento dalla dimora comune con relativa sospensione della potestà genitoriale. L’utilizzo nei tribunali italiani della teoria denominata PAS (Parental Alienation Syndrome) deve essere eliminata in ogni sua forma, essendo del tutto destituita di fondamento scientifico.

A tal fine, e per far sì che tutti gli operatori coinvolti sappiano correttamente leggere la violenza, in modo che le donne siano autenticamente tutelate in ogni fase del percorso di uscita, è necessario prevedere e istituire una formazione specifica e strutturale per magistrati, Forze dell’Ordine, assistenti sociali e dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU), che hanno il compito di redigere il parere sulla base del quale i magistrati decidono.

Oltre a tali indispensabili misure, occorre però agire più efficacemente nell’ambito della prevenzione in modo da abbattere significativamente il numero di femminicidi, che nel nostro Paese resta sostanzialmente stabile negli anni. A tale scopo non è più rinviabile l’intensificazione e istituzionalizzazione del lavoro sui maltrattanti, che va all’origine della violenza. Nel corso di questa legislatura il Movimento 5 Stelle ha chiesto e ottenuto l’istituzione di un fondo per finanziare i percorsi per uomini autori di violenza e sostenere quelle iniziative, che nate spontaneamente, sono oggi realtà sul territorio italiano. È necessario che tali percorsi trattamentali e relativi i centri erogatori siano ora equamente distribuiti sul territorio italiano e vengano rese omogenee linee guida per quanto riguarda i requisiti degli operatori e la tipologia dei servizi erogati. Un esempio virtuoso in questo senso è rappresentato dal progetto pilota denominato protocollo Zeus, nato nell’ambito delle Direzione Centrale Anticrimine da un’idea della dott.ssa Alessandra Simone, che ha dato ottimi risultati. Il protocollo Zeus, attualmente esteso a più di 25 comuni italiani, prevede che il maltrattante sia indirizzato a tali percorsi trattamentali al momento in cui riceve un ammonimento da parte del Questore, quindi prima ancora che scatti una eventuale denuncia e senza bisogno di querela di parte o di avvio di un processo penale.

Trasversale alla questione migratoria e alla violenza di genere, si situa poi una piaga della quale non possiamo tacere: quella della tratta di esseri umani. La tratta e il traffico di esseri umani è un crimine che vede come vittime principali le donne, e di cui tuttavia si parla pochissimo in chiave di fenomeno di genere. Su dieci vittime di tratta, sette sono donne e ragazze. Di queste, circa il 75 per cento viene trafficato per fini di sfruttamento sessuale nei mercati prostitutivi legali e illegali dei Paesi più ricchi.

Il MoVimento 5 Stelle è stato promotore, nella scorsa legislatura, dell’unica indagine conoscitiva mai realizzata sul fenomeno della prostituzione. Sulla scorta del materiale raccolto. sarebbe auspicabile e opportuno che anche in Italia si aprisse un dibattito sulla possibilità di introdurre il modello neo-abolizionista indicato dall’Unione Europea, l’unico dimostratosi in grado di ridurre da un lato il fenomeno della tratta e dello sfruttamento, dall’altro di stimolare un cambiamento culturale nella direzione di una più autentica parità di genere.

In tema di diritti della persona, non possiamo non fare menzione della necessità che il nostro Paese si doti di una legge sul fine vita. Nella scorsa legislatura si era avviato l’iter di esame di una buona legge che, soprattutto sotto la spinta del gruppo M5S, era stata approvata alla Camera. Tale legge prendeva le mosse dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale.

Occorre poi essere consapevoli che le politiche di empowerment femminile devono essere accompagnate dalla promozione di una diversa e nuova dimensione culturale ed educativa, prioritariamente rivolta alle giovani generazioni.

È necessario introdurre una educazione sessuale nelle scuole a partire dal ciclo delle secondarie di primo grado. È noto ormai come l’accesso ai siti con contenuto pornografico avvenga all’età media di undici anni. Affidando tale insegnamento a esperti qualificati nell’ambito del Sistema Sanitario Nazionale e rendendolo strutturale nelle scuole di tutto il territorio, saremo in grado non solo di abbattere il diffondersi di malattie sessualmente trasmissibili e gravidanze indesiderate tra i giovanissimi, ma sarà possibile per i ragazzi e le ragazze conoscere meglio il proprio corpo. L’educazione affettiva e sessuale comprensiva delle informazioni preventive rispetto a HIV e alle altre IST deve essere inserita nei curricula scolastici e programmi didattici con moduli formativi standardizzati e basati sulle evidenze scientifiche e sul rispetto dei diritti umani. In questa direzione è stato sottoscritto un protocollo di intesa, rinnovato nel gennaio 2022, tra Ministero della Salute e Ministero dell’Istruzione, ed emanato un decreto interno (n. 823) per l’istituzione di un comitato paritetico. Tale protocollo con il relativo comitato non sono tuttavia ancora stati resi operativi.

In materia di sessualità e contrasto all’inverno demografico di cui tanto si parla, oltre alle misure suindicate, riteniamo sarebbe estremamente utile diffondere la consapevolezza tra le donne e le coppie della possibilità che oggi esiste di crioconservare gli ovociti. Non tutti i medici mettono al corrente le loro pazienti di questa tecnica e soprattutto la medesima, anche quando nota, non è alla portata di tutte le donne o le coppie in quanto piuttosto costosa. È noto che le donne oggi ritardano il momento della prima gravidanza, anche magari desiderandola, in attesa di condizioni lavorative ed economiche migliori. Quando questo momento finalmente arriva, per molte di loro la scorta di ovociti non è più così vitale come anni prima, e rimanere incinte può diventare un’esperienza dolorosa, frustrante e pesante sia dal punto psicologico che da quello fisico. Una proposta da considerare è innanzitutto rendere capillarmente nota l’esistenza di questa tecnica di conservazione, che permette l’impianto successivo di materiale ottimale attraverso campagne di informazione da parte del Ministero della Sanità e dei medici ginecologi curanti. In seconda battuta bisogna prendere in considerazione la possibilità di prevedere un’agevolazione economica per le giovani donne che vogliano accedervi ma che hanno un reddito al di sotto di un livello che sarà da stabilirsi. La scienza può essere un’ottima alleata per una maternità felice e consapevole, ma se resta alla portata di poche non darà mai i frutti che potrebbe dare.

 

È inoltre necessario aprire l’accesso alla Fecondazione Medicalmente Assistita a tutte le donne, indipendentemente dallo stato civile. Una donna sola infatti è perfettamente in grado di diventare madre (come già avviene). Non si vede il motivo per cui l’accesso a questa pratica debba essere riservato solo alle donne eterosessuali coniugate.
Contestualmente occorre garantire il pieno funzionamento e applicazione della legge 194/1978. L’accesso all’interruzione volontaria della gravidanza non può essere reso nella sostanza impossibile, come è attualmente, per via dell’elevatissimo numero di medici e personale medico obiettori di coscienza. La partecipazione ai concorsi pubblici deve riservare delle quote per medici e personale non obiettore, come è stato fatto già in alcune regioni del Paese.

Allo stesso modo è necessario approvare la norma sul cognome dei figli che consente anche alle madri di trasmettere il proprio cognome, come stabilito dalla recente sentenza della Corte Costituzionale.

Sempre in tema di figli, è necessario semplificare il processo di adozioni nazionali e internazionali, ad oggi farraginoso, frustrante e scoraggiante. La possibilità di adozione va poi estesa anche alle persone single e alle coppie dello stesso sesso, per le quali deve essere aperto l’accesso all’istituto del matrimonio laico e civile (matrimonio egualitario). E’ una discriminazione di Stato il fatto che oggi per le coppie dello stesso sesso sia previsto un istituto ad hoc (quello delle cosiddette unioni civili), che sono di fatto un istituto a tutele minorate e chiaramente discriminatorie. Tra tutti i Paesi dell’Europa occidentale, l’Italia è l’unico che ancora non ha esteso il matrimonio a tutte e tutti, indipendentemente dal sesso e dall’orientamento sessuale dei coniugi. Allo stesso modo riteniamo che l’istituto delle unioni civili vada conservato ed esteso anche alle coppie di sesso diverso, contrariamente a quanto avviene oggi. La democraticità di un Paese si misura anche dalle possibilità di scelta che lo stesso offre ai propri cittadini, ed è ben possibile che coppie etero possano preferire questo tipo di unione al matrimonio tradizionale. Non si vede perché ciò debba essere loro impedito.

Naturalmente, con l’estensione del matrimonio alle coppie dello stesso sesso, vengono loro attributi anche tutti i diritti e i doveri oggi riservati alle coppie di sesso diverso in materia di adozione e di riconoscimento delle figlie e dei figli. Fermo restando che la pratica della maternità surrogata è vietata in Italia, il prezzo non può essere pagato dai tanti minori che oggi si trovano privi di tutela e legami familiari. Anche su questo tema, si è espressa la Corte Costituzionale nelle sentenze 32 e 33/2022, riconoscendo a questi minori il diritto a due genitori e a tutta la rete di relazioni e affetti familiari come ogni altro bambino e bambina.

In tema di diritti civili, è urgente approvare una legge di contrasto all’odio e all’incitamento all’odio fondati su orientamento sessuale, identità di genere, misoginia e abilismo (legge di contrasto all’omolesbobitransfobia). L’approvazione di tale legge fallì nell’ottobre 2021 per la convergenza di forze politiche che nelle dichiarazioni di intenti appartenevano a campi politici diversi, ma che nei fatti si saldarono per far naufragare una legge attesa da 30 anni. Come Movimento 5 Stelle siamo orgogliosi che, grazie al nostro impegno, oggi in tutto il Paese siano sorti, attraverso il fondo di 4 milioni creato presso il Ministero delle Pari Opportunità, sportelli di ascolto e centri rifugio per tutte le persone, quelle giovani in particolare, che subiscono discriminazioni o aggressioni omolesbobitransfobiche. Questo enorme risultato va supportato con una legge specifica che estenda il reato previsto nell’art. 604bis e ter anche alle motivazioni fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.

Sconfiggere la misoginia significa anche riconoscere che i prodotti per l’igiene intima femminile, quali gli assorbenti, sono un bene di prima necessità per le donne, e non certo un bene di lusso che ci si può permettere di acquistare o meno. Pertanto, non è sufficiente l’abbassamento dell’IVA operato su questi prodotti nella scorsa legge di bilancio (dal 22 al 10%), ma occorre portarla a quella prevista per i generi di prima necessità, ossia al 4%.

È necessario poi sostenere e continuare a implementare il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, istituito nel 2019 dall’allora ministra della Salute Giulia Grillo. La medicina, perché risponda più efficacemente alle sfide dell’oggi, deve prestare sempre più attenzione all’individuo e alle differenze di genere.

Occorre anche sostenere la formazione di capitale umano femminile nelle materie scientifiche e tecnologiche (STEM), oltre a introdurre misure finalizzate alla riduzione del digital divide, che ancora oggi penalizza maggiormente le donne.

Allo stesso modo è necessario garantire l’equilibrio di genere negli organi costituzionali, nelle autorità indipendenti, negli organi delle società a controllo pubblico e nei comitati di consulenza del Governo attraverso specifiche iniziative normative.

È inoltre urgente la revisione della legge 164 del 1982 per il cambio di genere: tale legge fu frutto di una lotta delle persone trans, che oggi risulta però non rispondente ai bisogno delle persone trans. Occorre superare il concetto della sterilizzazione forzata, e il percorso obbligato attraverso la diagnosi di “disforia di genere”, condizione che non è nemmeno più prevista dall’OMS, anche attraverso il superamento dei protocolli ONIG. Occorre procedere nella direzione del consenso informato, come già avviene in Svizzera, almeno per il cambio del nome, e rivedere il percorso per il cambio di genere ponendo un tetto massimo di spesa per le persone che lo intraprendono, alleggerendolo della presenza di professionisti che rendono la presa in carico ancora come un percorso patologizzante. Della stessa importanza occorre strutturare un cambio di paradigma per le persone intersessuali, che ancora oggi subiscono chirurgia forzata subito dopo la nascita, e la messa al bando di ogni forma di terapia “riparativa” per le persone LGBTQ+ come già avviene in altri Stati europei.

Occorre inoltre potenziare e riconoscere le carriere alias per le persone trans, transgender, non binary e gender fluid all’interno delle scuole e dei luoghi di lavoro, anche in assenza o in attesa di un percorso di transizione, al fine di ridurre le difficoltà delle singole persone e valorizzare l’apporto sociale, culturale e lavorativo che le stesse possono dare all’interno di un contesto non discriminatorio.

Crediamo che far parte di un Paese significhi non solo conoscerne la lingua, rispettarne le leggi e sentirsi parte di una comunità, ma anche e soprattutto avere all’interno di quella comunità la speranza di costruire un futuro per sé e per le proprie figlie e figli. Per questo occorre garantire dei processi di integrazione alle comunità straniere presenti sul territorio italiano che le valorizzi e consenta loro di sentirsi davvero più parte del tessuto sociale ed economico. È fondamentale iniziare a immaginare percorsi e istanze di partecipazione diretta alla vita comunitaria, e il primo su cui ci impegniamo è lo Ius Scholae, ovvero il riconoscimento della cittadinanza dopo almeno un ciclo di studi portato a compimento.

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